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Pianificazione di progetti su un lungo orizzonte temporale, maggiore utilizzo di strumenti di incentivazione automatici, più collaborazione tra strutture pubbliche e aziende private. Questi i criteri su cui è stato costruito il Piano di Confindustria per la Ricerca e l’innovazione. Concetti chiari, sintetici che Pasquale Pistorio, vice presidente di Confindustria per la ricerca e l’innovazione, non si stancherà di proporre come programma strategico per ridurre il gap tra l’Italia e il resto del mondo in tema di Ricerca e Innovazione. «L’Italia purtroppo è molto indietro nella Ricerca», spiega Pistorio. «Si investe poco, solo l’1,1 per cento del Pil, contro il 3,2 del Giappone, il 2,6 degli Stati Uniti e il 2 per cento della media europea. Addirittura anche la Cina ci sta davanti con l’1,4 per cento. Oggi solo il 13 per cento delle nostre esportazioni sono classificate come hitech, contro il 23 per cento della media europea. Questo deve cambiare, dobbiamo riuscire a offrire un prodotto ad alto contenuto di competenza, solo così non rimarremo schiacciati tra l’area dei paesi sviluppati, che offrono prodotti più innovativi dei nostri, e i paesi emergenti, che, invece, offrono prodotti a basso costo».
Si investe troppo poco sia a livello pubblico che privato. «Anche se il quadro della collaborazione tra enti di ricerca, settore pubblico e privato sta migliorando, non si andrà lontani se non cambiano gli strumenti di politica economica a sostegno di programmi organici nel lungo periodo, un periodo di almeno 10 anni». E’ dal 2004 che Confindustria propone sei misure per avvicinarsi agli obiettivi fissati dal Consiglio Europeo per aumentare l’incidenza delle spese in Ricerca sul Pil. A parte l’eliminazione dell’Irap per tutto il personale delle imprese impegnato nella Ricerca adottato con la Finanziaria del 2005 le altre proposte devono ancora essere considerate dal governo. E’ ora, dice Pistorio, «di sfatare la leggenda che non ci siano risorse. E’ come sempre un problema di priorità. Occorre dare nuovi stimoli, certi nei tempi e nelle risorse, ad aziende e università». Ad esempio attraverso un credito di imposta pari al 50% delle spese totali sostenute per la ricerca in progetti assegnati dai privati alle università, passaggio indispensabile per favorire una maggiore collaborazione. «O ancora, concedendo un credito di imposta generalizzato pari al 10 per cento delle spese totali di ricerca per almeno 10 anni. Il vantaggio è per il privato e per l’università. Questi sono veri stimoli, strumenti automatici che vengono già utilizzati con successo in altri Paesi, come la Francia. Sono mezzi, che, insieme alla deburocratizzazione, un’altra delle priorità di Confindustria, aiutano le piccole aziende a crescere e innovare». In Francia le aziende che innovano possono fare affidamento ogni anno su un tetto massimo di due milioni di euro. «Occorre individuare un massimo di 10 programmi strategici per il Paese da seguire su scala nazionale e internazionale continua Pistorio che vanno sostenuti con investimenti pubblici e privati. Questo si potrebbe realizzare dando risorse ai distretti tecnologici, che, a mio avviso, sono un’ottima iniziativa. Proprio per sostenere i grandi progetti strategici, la Francia ha istituito l’Agenzia per l’innovazione industriale (composta da rappresentanti di enti pubblici e aziende private) che riceve i finanziamenti pubblici un miliardo di euro all’anno per i prossimi sei anni e li gestisce nella maniera più efficace ed efficiente».
Allo stesso tempo bisogna favorire l’aggregazione delle imprese che compongono il tessuto industriale italiano. «Ce ne sono troppe, troppo piccole che non innovano e non sanno come farlo. Se si guardano gli ultimi dati ufficiali sulla spesa privata in R&D, si vede che l’Italia è più o meno allineata al resto d’Europa quando si parla di investimenti delle aziende medie e grandi, mentre il livello scende drasticamente quando si parla di piccole, livello che incide pesantemente sul dato complessivo. Le piccole realtà hanno un desiderio disperato di innovare ma da sole non ce la fanno. Occorre una profonda riforma del sistema delle università nel senso di una maggiore efficienza e una maggiore collaborazione con il mondo produttivo e Confindustria ha indicato alcune chiare linee da seguire in questo senso. Occorre, infine favorire in ogni modo le startup innovative. Negli ultimi 20 anni la ricerca e l’innovazione non hanno ricevuto una sufficiente attenzione».
I dati degli ultimi 20 anni sono disarmanti: dal 1980 al 2002 in Italia il trasferimento della spesa pubblica alle aziende private per l’R&D è stato di 14 miliardi di euro complessivi, in Francia di 47 miliardi e in Germania di 56 miliardi. Anche se in Italia, a differenza degli altri Paesi, lo Stato finanzia per il 60 per cento la Ricerca, è anche vero che il 60 per cento di quell’1,1 per cento rimane un dato troppo esiguo. Nel 2003 la spesa pubblica pro capite nella Ricerca in Italia è stata di 129 euro, contro i 204 della Germania e i 217 della Francia. «Oggi occorre un vero e proprio colpo d’ala della politica della Ricerca e dell’innovazione», conclude Pistorio. «L’altro grave problema è quello di una carenza di governance e di efficienza nella gestione degli strumenti. Serve più coordinamento a livello pubblico, dei diversi fondi per il supporto alla ricerca pubblica e privata, così come un maggiore coordinamento tra i livelli, comunitario, nazionale e regionale. I criteri di selezione e di valutazione degli strumenti devono essere più trasparenti, omogenei ed efficienti. Se si applicassero i criteri da noi proposti, il costo per lo Stato sarebbe all’incirca di 1,5 miliardi di euro all’anno ma attiverebbe risorse private in misura più che proporzionale all’investimento. Entro il 20132015 si potrebbero raggiungere i parametri di Lisbona. Spesso mi si chiede se basti questa ricetta per rilanciare la competitività dell’Italia: la risposta è ovviamente no. Il Paese ha bisogno di importanti riforme che Confindustria ha chiaramente identificato. Sono tutte indispensabili, ma non sarebbero sufficienti per un recupero di competitività senza un investimento concreto e costante nella ricerca e nell’innovazione a 360 gradi».
Tratto da Affari & Finanza del 15 Maggio 2006
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