|
UN PERLASCA DI CASA NOSTRA
Il cinema, la televisione, la stampa, hanno richiamato alla memoria e alla conoscenza di noi tutti, prima l'industriale Schindler e poi la romanzesca figura di Perlasca.
Pochi sanno, o almeno sapevano fino a qualche mese fa, che anche Gallarate ha avuto un suo Perlasca: FERNANDO TORREGIANI.
Il debito di riconoscenza verso quest'esimia figura θ stato saldato lo scorso 5 dicembre nella Sala Giunta del Comune di Gallarate. Presenti le autoritΰ cittadine e il Consigliere d'Ambasciata d'Israele sig. Tibor Schlosser, θ stata conferita la medaglia d'oro 'Giusto fra le Nazioni' alla sua memoria.
Ciς a seguito della delibera del 4/3/2001 dell'Istituto per la Memoria dei Martiri e degli Eroi dell'Olocausto.
L'avvenimento merita di essere citato e pubblicizzato, proprio in relazione al silenzio fatto di modestia e discrezione che sinora aveva circondato il gesto di Torregiani. Gesto ignorato anche da chi θ sempre stato attento osservatore delle cose locali.
Dopo la Liberazione, secondo un costume mai tramontato, parecchi si arroccarono sul carro del vincitore, rivendicando veri o presunti meriti antifascisti, perς nθ Torregiani nθ altri della sua famiglia, si fecero avanti per un riconoscimento, doveroso, da parte della comunitΰ.
Fernando Torregiani (1886-1967), nato a Milano e trasferitosi in gioventω a Gallarate, artigiano orafo molto apprezzato, insegnante nelle scuole pubbliche, fu protagonista, nel dicembre 1943 di un episodio che avrebbe potuto sconvolgere il tranquillo 'menage' familiare ed esporlo a rappresaglie feroci.
Una famiglia di ebrei italiani in fuga da Ferrara: Nelda e Giulio Melli, la figlia Carmen con il marito Mario Rossi e i nipotini Anna (15 anni) e Gianfranco (12 anni), avevano tentato di raggiungere il Sud occupato dagli alleati. Fallita l'impresa, era stata indirizzata da amici verso Fernando Torregiani che possedeva una casa a Marchirolo, a pochi chilometri dal confine svizzero.
Torregiani aderμ senza esitazione alla proposta di favorire l'espatrio della famiglia Melli che fu divisa in tre coppie per facilitarne l'uscita.
Tutto andς bene per i nonni e i genitori, non cosμ per i ragazzi che, incappati nelle reti dei nazifascisti, furono consegnati alla suore della Casa di S.Giuseppe di Varese con l'obbligo di una attenta sorvoglianza. Torregiani non si diede per vinto: con l'aiuto di due patrioti e la generosa finzione della Madre Superiora, inscenς un 'rapimento' in piena regola e potθ riunire i giovani al nucleo famigliare ormai in salvo. Era stata Anna Rossi, testimone di quei fatti alla cerimonia gallaratese, a ricordare il numero telefonico di Torregiani segnalando dove era trattenuta con il fratello.
Il periodoco cattolico 'Luce', allora organo ufficiale dell'Azione Cattolica, aveva pubblicato nel maggio/giugno 1945 l'episodio in maniera perς molto ramanzesca, attraverso il racconto di Don Sonzini (l'anno scorso nominato 'varesino del secolo').
Il Consigliere d'Ambasciata Schlosser, certo alludento all'arcangelo Gabriele che guida Tobia nel periglioso viaggio, ha definito Fernando Torregiani 'un angelo' ed ha ricordato che in Italia la percentuale degli ebrei scampati all'olocausto grazie a questi 'angeli' θ molto alta, mentre in altre nazioni a noi vicine, θ un'irrisoria minoranza.
Il nome di questi Angeli θ inciso sulla Stele d'onore nel Giardino dei Giusti, presso lo YadVashem di Gerusalemme e ci esorta a sperare che, anche in tempi bui, ognuno ritrovi e sappia esprimere le energie migliori del suo animo.
|